Purpose-driven leadership

Purpose-driven leadership

Secondo Peter Drucker “il profitto non è lo scopo di un business, piuttosto la prova della sua validità” … 

… e aggiungendo che “il vero scopo del business è creare e mantenere i clienti” metteva in guardia gli imprenditori che “fare del profitto l’unico obiettivo finale non solo è privo di significato, ma anche pericoloso.”

A tal proposito un altro importante purpose-driven leader come Hubert Joly, nel suo libro “The Heart of Business” afferma: 

“I profitti sono essenziali in ogni azienda e rappresentano il risultato di una buona gestione, tuttavia considerarli la sola raison d’être, è sbagliato per quattro motivi.

  1. I profitti non sono una buona metrica (l’unica) delle prestazioni economiche.
    Qualsiasi buon amministratore è consapevole della scollatura esistente tra le cifre nei bilanci e la realtà economica. Si pensi ad esempio all’azienda che investe nello sviluppo del personale in modo significativo: è naturale che nel breve termine registri un calo dei profitti che sarà poi compensato dalla crescita a lungo termine creata dallo stesso investimento.

  2. Focalizzarsi sui profitti può rivelarsi addirittura pericoloso.
    Come se misurando la febbre di un paziente decidessimo di intervenire solo sul sintomo - cercando di abbassarla, invece di comprenderne la causa. Premesso che le buone prestazioni economiche e finanziarie sono indispensabili alla sopravvivenza dell’azienda, Hubert evidenzia come la recessione del 2008 sia conseguenza di un approccio nel mondo del business ossessionato dai numeri: i casi Enron, Volkswagen o Wells Fargo sono solo i più noti.

  3. L’attenzione sui profitti va inevitabilmente a scapito di clienti e dipendenti.
    Le aspettative degli azionisti si evolvono e si trasformano insieme con la realtà che viviamo quotidianamente. Larry Fink di BlackRock ricorda che gli investitori non sono entità astratte e che gli azionisti - i primi ad essere realmente interessati alla creazione di profitti nel breve termine - comprendono sempre di più l’importanza di “resettare” le loro aspettative. Sono consapevoli che la nuova etica degli investimenti su persone, ambiente e sostenibilità è la chiave per ottenere migliori rendimenti sul lungo termine.

  4. Un’attenzione esclusiva sui profitti nuoce allo spirito.
    Il lavoro non deve essere una routine e neppure una maledizione. Per ciascun individuo il lavoro contiene una missione nel mondo, una ricerca del senso, del significato che ne determina il livello di impegno e coinvolgimento. La massimizzazione del profitto non è certo ciò che spinge le persone a dare il meglio di sé per salvare le aziende poiché è un concetto non risponde in alcun modo a questa esigenza di ricerca del significato.

In conclusione se massimizzare i profitti non è la raison d’être di un’azienda, cosa lo è?

Qui la risposta diventa impegnativa, ma ineluttabile.

Marc Benioff, fondatore di Salesforce, al World Economic Forum di Davos del 2020 dichiarò:

“il capitalismo così come lo conosciamo è finito.”

Dobbiamo ripensare come funziona l’intero sistema economico. 

In tale ottica definire lo scopo per le aziende diventa parte della rivoluzione culturale che sta reinventando il capitalismo, che trasforma dall’interno il business così come lo abbiamo sempre conosciuto, per focalizzarlo su persone, ambiente e sostenibilità e costruire un futuro migliore. 

Qual è l’alternativa a questo scenario? 

Nascondere la testa sotto la sabbia è una scelta molto diffusa. Chi la compie, per ragioni legittime e comprensibili, cerchi di ricordare che ciò che ci mette più a disagio è ciò di cui abbiamo più bisogno. (della serie: “uomo avvisato mezzo salvato.”)

Oppure considerare la cultura come un processo di business al pari degli altri, non un sottoprodotto dell’attività aziendale. 

Solo con l’attivazione del purpose-driven business framework parte il percorso per creare aziende purpose-driven e reinventare il business.

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